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Il prefetto di Palermo: "Ecco perché la mafia ha ucciso tanti giornalisti in Sicilia"
di Roberto Leone
“Perché la mafia uccide i giornalisti? La mafia ha ucciso i giornalisti in Sicilia perché l'informazione rappresenta un elemento essenziale per lo sviluppo e il miglioramento della qualità della democrazia. I giornalisti hanno il compito di far crescere la coscienza civile e di permettere ai cittadini di conoscere meglio la realtà dei loro territori, di capire i problemi che vivono ogni giorno. Tutto questo, che serve in ultima analisi a un miglioramento delle condizioni di vita, viene visto come un grave danno da parte dei mafiosi, che non possono tollerare che i cittadini vengano informati in maniera compiuta delle conseguenze che derivano dalle loro azioni criminali”.
Nel giorno dell'anniversario dell'omicidio di Mario Francese, avvenuto il 26 gennaio del 1979, e mentre scatta l'organizzazione alla terza edizione del concorso “Libertà di stampa e cultura della legalità” nelle scuole della provincia di Palermo, il prefetto Massimo Mariani (che sarà presente alla commemorazione del cronista ucciso) è molto chiaro per definire l'importanza del lavoro e del sacrificio dei giornalisti in Sicilia e non solo.
Arrivato a novembre da Reggio Calabria, dove ha guidato la Prefettura per quattro anni e mezzo, ha subito rimesso in moto la macchina organizzativa dell’iniziativa, affidata al viceprefetto aggiunto Pietro Barbera, che la segue dalla prima edizione voluta dal Prefetto Giuseppe Forlani e poi da Maria Teresa Cucinotta. Impianto ormai collaudato, nel quale i giornalisti, grazie alla collaborazione dell'Associazione siciliana della stampa e dell'Ordine, svolgono un ruolo determinante nell'affiancare i professori come tutor degli studenti per la realizzazione degli elaborati che partecipano al concorso. Ma sul ruolo dei giornalisti il prefetto Mariani, vuole aggiungere ancora qualcosa.
“Il lavoro dei giornalisti consente non solo ai cittadini di guardare in faccia il volto dell'orrore provocato da quelle azioni criminali, ma anche di comprendere il valore di chi compie il proprio dovere per far sì che prevalgono i valori della legalità”.
Un ruolo quindi nevralgico per il funzionamento corretto della democrazia?
“Si, possiamo dire che la corretta informazione è precondizione necessaria per la formazione dell’opinione pubblica e quindi per la salvaguardia e lo sviluppo di una vera democrazia. Un’informazione libera e corretta è necessaria per combattere l’inquinamento compiuto dalle organizzazioni mafiose nella società civile.”
Quindi partire dalle scuole è una scelta obbligata e fondamentale?
“Certo, perché abbiamo bisogno di far comprendere ai ragazzi, soprattutto ai più giovani, quali sono i valori che stanno alla base del vivere civile. Serve promuovere un'azione culturale e trasmettere i valori della democrazia attraverso una vera cultura della legalità. Insomma, nell’ “hardware” delle loro menti va inserito, attraverso la formazione e lo studio, il “software” che consenta di saper discernere con adeguata consapevolezza il bene dal male”.
Dopo due edizioni basate sul racconto dei beni confiscati alla mafia e sul loro riutilizzo, quest'anno gli studenti sono chiamati a cimentarsi su un nuovo tema e cioè quello delle vittime nella violenza mafiosa.
“Sì, perché è importante conoscere e valorizzare le vittime della mafia e soprattutto coloro che hanno avuto meno visibilità negli ultimi decenni, ma che invece meritano di essere conosciute dalle giovani generazioni. Penso, ad esempio, anche al colonnello Giuseppe Russo, ucciso nel 1977 a Ficuzza in compagnia dell'insegnante Filippo Costa che stava preparando un libro grazie ai racconti del militare. Mi sembra un esempio perfettamente calzante: un uomo delle istituzioni come il colonnello, assassinato insieme a un uomo di lettere, un insegnante che voleva fare informazione”.
In queste ultime settimane si sono susseguite una serie di notizie sul fronte della violenza giovanile in città. Risse, sparatorie, due omicidi, tutti episodi legati alla vita notturna, alla movida. In città si registra un preoccupato allarme sociale.
“Sono purtroppo fenomeni rappresentativi del degrado, spesso sfociante in vere e proprie forme di violenza, presente in tante aree metropolitane. E Palermo, in questo senso, non fa differenza. Per questo c’è bisogno di un grande lavoro dal basso, di impegno culturale, per ‘entrare’, se così si può dire, nelle menti dei più giovani e far capire che i comportamenti violenti non fanno parte delle regole del vivere civile. Ecco, quindi, anche da parte dei giornalisti, la necessità di un impegno costante, che punti allo sviluppo morale, culturale e intellettuale delle giovani generazioni, perché l'informazione di qualità può fare la differenza nella crescita e nella maturazione nelle coscienze dei cittadini”.
Assostampa e Gruppo cronisti siciliani il 26 gennaio in viale Campania per ricordare Mario Francese