| Gruppo cronisti siciliani
Messina, urla nel silenzio
di Fabrizio Bertè
Quanto mi fa paura il silenzio? Una domanda che mi ha posto poche sere fa un bellissimo angelo custode. Una domanda, ricevuta alle 23.01, che mi ha lasciato senza fiato. In fondo, forse, non ci avevo mai pensato. Quella stessa persona, poche ore dopo, mi ha chiesto: “Ti andrebbe di raccontarti?”. Ho subito accolto con grande entusiasmo questa proposta. Poi ho preso in mano carta e penna e ho iniziato a riflettere. In fondo, raccontare le vite degli altri, è sempre più semplice. Parlare di me, invece, mi fa paura.
E quell’angelo custode mi ha costretto a guardarmi dentro e concentrarmi su ciò che mi sta accadendo, sulle mie ombre, sulle persone che mi stanno attorno, sulle mie paure. Sembra passata un’eternità da quel premio ricevuto lo scorso giugno, "il premio cronisti" del Gruppo Cronisti Siciliani di Assostampa con una motivazione che mi ha reso fiero e orgoglioso: “Per aver dimostrato abnegazione, sacrifici e una grandissima forza di volontà, che gli permettono di scovare storie d’impegno sociale e di riscatto, che colpiscono il lettore e raccontano un altro volto del territorio siciliano”. Così era scritto, parlando di me.
Da quel momento, ho continuato a fare il mio lavoro: né più, né meno. L’impegno, però, è raddoppiato, perché mi sono sentito doppiamente responsabilizzato. E responsabilizzarmi ulteriormente, il premio della settimana ricevuto dal direttore di Repubblica, un altro traguardo che mi ha fatto gioire e che ho voluto condividere con una redazione stupenda che mi ha sempre supportato e continua a farlo. Quotidianamente.
E poi? Ho continuato a fare quello che facevo prima: raccontare la “mia” Sicilia. In tutte le sue sfaccettature. Ma sempre con onestà e lealtà e senza alcun pregiudizio. Ma con la coscienza pulita e lontano da qualsiasi logica di potere. Dal 19 ottobre, però, qualcosa è cambiato: sono arrivate le prime “diffide”, in cui mi si chiede di rivelare le mie fonti. E in cui, soprattutto, mi sono stati chiesti risarcimenti danni “milionari”. L’ultima, l’ho ricevuta proprio martedì. Nel mezzo, poi, un altro “caso” che mi ha turbato: un fermo della Digos di Messina, lo scorso 6 novembre, mentre stavo svolgendo il mio lavoro. Com’è finita? Che sono stato portato in Questura, senza motivo.
Come mi sento? In una “bolla”. Vorrei solo fare il mio lavoro. E basta. Senza diffidenza e pregiudizi. Lottare, ogni giorno, in un mare di nome “precariato”, facile non è. E se in mezzo a questa lotta trovi muri altissimi e indistruttibili, vincere rischia di diventare un’utopia. Ma questa battaglia non è solo la mia. Ma quella di tante persone che mi stanno accanto e dei pochissimi che sanno come mi sento e che ogni giorno si battono per una categoria che a volte è incredibilmente ipocrita e crudele. Ma che comprende anche persone stupende, che camminano a testa alta e portando il vessillo delle tre C: cuore, coraggio e condivisione. E per un mestiere, che, nonostante tutto, resta e resterà per sempre il più bello del mondo.