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Puglisi alla guida di Live Sicilia: “Informare significa anche farci carico delle persone che raccontiamo”
di Tiziana Tavella
Live Sicilia, cambio della guardia: dopo Guido Monastra tocca a Roberto Puglisi. Una penna che si distingue nel panorama siciliano per la sensibilità e la capacità di raccontare le storie di tutti senza mai dimenticare chi è più fragile ed ha più bisogno di voce. Una capacità che si racchiude nella sua essenza di “cronista degli ultimi” e che lo scorso giugno è stata messa in risalto ulteriore con la consegna della targa a Puglisi per la cronaca bianca, nell’ambito del “premio cronisti” promosso dal Gruppo cronisti siciliani di Assostampa. Schivo, lontano dai “red carpet” per costituzione, ironico e sempre presente, per e sulla notizia, Roberto Puglisi si racconta in questa intervista.
Da pochi mesi sei alla guida di LiveSicilia. Nell’immaginario collettivo dal sapore un po’ retrò, il direttore di una testata è quella figura mitologica “mezzo uomo e mezzo bretelle” che seduto ad una scrivania avvolto nel fumo impartisce ordini a redattori e collaboratori, mentre i telefoni squillano senza sosta. Che direttore sei, che impronta stai dando al tuo percorso di redazione?
“Ho smesso di fumare trent’anni fa e in redazione non si fuma. Scherzi a parte. Cerco di essere uno che tiene ben presente quello che ha imparato: fare comunità è la cosa più importante, come costruire ambienti umani il più possibile confortevoli per tutti quelli che li abitano. Se questo succede, il resto viene da sé. Sono stato un ‘semplice redattore’ di LiveSicilia.it, prima di avere l’incarico, e tornerò a esserlo, un giorno. Il mio obiettivo è esercitare il mio ruolo di nuova responsabilità con la vicinanza umana di sempre, ben sapendo qual è il mio mandato. Mi interessa condividere i percorsi, ragionarci, affrontarli insieme. In questo sono fortunato, posso contare sul legame con colleghi che sono tutti cari amici e splendidi professionisti di prim’ordine”.
Accanto alla parola direttore c’è responsabile. Cosa significa per te essere responsabile della notizia pubblicata?
“Significa essere responsabile della vita delle persone, nel segmento in cui la intercetti. Significa proteggere le persone, non tacendo nulla, non nascondendo nulla, ma ricordando sempre che i protagonisti dei nostri articoli sono, appunto, persone in carne e ossa. Molto tempo fa, quando ho iniziato, pensavo che il giornalista fosse una specie di supereroe, un vendicatore, un giusto. Andando avanti ho modificato un po’ questa visione romantica, mantenendone gli elementi positivi. Oggi penso che il nostro lavoro consista nel farsi carico delle persone, ben oltre il ‘pezzo’ che scrivi. E lo penso da anni”.
Nella tua carriera da “cronista degli ultimi” hai messo avanti il “dovere di cuore” rendendolo parte integrante del tuo “ dovere di informare”.
“Ho messo dietro me stesso, senza cancellarmi, ma allontanandomi da ogni forma di traguardo individuale che non fosse connesso al servizio che si compie. Mi sono sforzato di immedesimarmi nel prossimo. Molte volte ho pensato: e se fossi io a non avere una casa, stanotte? Per me informare significa anche fare vedere l’umanità di coloro che si incontrano, lungo le strade della nostra fragilità”.
Quello del giornalista è un mestieraccio sempre più ad ostacoli. Oggi i bavagli sono sempre più stretti attorno alla libertà di stampa ed alcuni sono quasi invisibili agli occhi degli altri, ma pericolosamente efficaci.
“Ci sono molti argomenti incandescenti sul tavolo. Ed è essenziale il ruolo del sindacato che cerca di mettere insieme professionisti che, talvolta, hanno difficoltà a pensarsi come comunità. Credo che lo sforzo che si debba fare sia questo: unirsi, non contro qualcuno o qualcosa, ma per la dignità del nostro bellissimo mestiere”.
Perché informare si deve e come si può fare capire ai lettori che la libertà di informazione è un bene comune?
“La cosa importante è fare bene e con coscienza il proprio lavoro. E’ allora che le parole assumono l’odore della passione per la realtà. Quello che, in fondo, i lettori cercano, anche in mondo sempre più virtuale. O forse proprio per questo"