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Perotti: "I nuovi bavagli e quelle notizie incomplete. C'è chi vuole il silenzio dei cronisti"
di Giulio Perotti
“Non è tempo per noi” cantava Luciano Ligabue nel 1990. Il cantautore di Correggio aveva scritto la canzone a fine anni Ottanta, decennio che aveva vissuto poco serenamente, non riuscendo a concepire l'idea che gli anni Settanta, fatti di politica, radio libere e rock, avessero lasciato il posto a un periodo tanto vuoto. Trentaquattro anni dopo quel brano potrebbe essere il “leit-motiv” dei giornalisti. Quella categoria che ancora negli anni ’90 e nei primi 2000 era considerata "il quarto potere", ma che oggi quel “potere” continua a vederlo ridimensionarsi sempre di più. E senza un chiaro motivo se non quello – da parte della politica, ma non solo - di voler consapevolmente imbavagliare la categoria. L’editoria è in crisi da almeno un decennio, a cascata, questo si è ribaltato sui cronisti, sempre meno contrattualizzati e sempre più precari. E sui lettori, che hanno un’informazione con sempre meno dettagli. E meno qualità.
In aggiunta le regole d’ingaggio sono diventate sempre più dure e stringenti, fino ad arrivare ai giorni nostri con le varie leggi Cartabia, Nordio e non ultimo con “l’emendamento Costa” che introduce il divieto di pubblicazione "integrale o per estratto" del testo dell'ordinanza di custodia cautelare. Così facendo, di fatto, si pone un’ulteriore censura sulle notizie di giudiziaria, impedendo ai cronisti di “appoggiarsi” alla citazione dell’ordinanza per raccontare in maniera certosina quelli che sono i capi d’accusa e le eventuali misure cautelari a carico dell’indagato. La famosa pezza d’appoggio che, soprattutto per i tanti giornalisti che scrivono “a pezzo”, rappresenta sia la certezza di evitare possibili querele temerarie (argomento che la politica di contro si guarda bene dall’affrontare), sia la possibilità di cadere in errore attraverso l’interpretazione dell’ordinanza. E tutte queste norme, come se non bastasse, dimenticano come tutti i giornalisti siano già sottoposti a regole deontologiche e ordinistiche che impongono la tutela degli indagati e la presunzione di innocenza degli stessi fino all’ultimo grado di giudizio. Per non parlare poi delle imposizioni del garante della privacy, che ha fatto sparire i nomi dai mattinali delle forze di polizia (dai ladri di arance a ben altri tipi di indagati), impedendo anche in quel caso al giornalista di accedere da una fonte certa a tutte le informazioni per fornire una notizia piena e corretta al lettore. E di poter decidere lui (il cronista) cosa sia di pubblico interesse e cosa vada oltre i limiti deontologici. Perché è sempre bene ricordare una cosa: i giornalisti lavorano e scrivono per informare i lettori, non per additare e screditare il politico, l’imprenditore o l’arrestato di turno.
E se da domani, come già capitato, leggerete solo notizie in cui si parlerà in modo generico di un’operazione contro un presunto smaltimento abusivo di rifiuti legato ad un impianto di depurazione che si trova in un "Comune rivierasco della provincia aretusea", la colpa non sarà nostra. “Attenti al lupo” - cantava Lucio Dalla sempre nel 1990, e il lupo di oggi per noi ha un nome e una connotazione ben precisa: si chiama politica.
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