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Misurare la precarietà nel giornalismo: il precariometro
Tracciare una fotografia aggiornata del profilo dei giornalisti non dipendenti è uno dei compiti statutariamente previsti dalla rappresentanza del lavoro autonomo in Fnsi.
Il “precariometro” prova a fare questo, e qualcosa in più. Prova a misurare, con vari strumenti, il profilo che si intravedeva in questi anni sullo sfondo di scioperi, proteste, mobilitazioni, vertenze e cause di lavoro tese a rivendicare i diritti di chi lavora nel mondo dell’informazione senza un contratto di lavoro dipendente.
Perché rappresentare i giornalisti autonomi e freelance è un’impresa difficile in tutti i sensi. Statisticamente e sindacalmente. Oggi però possiamo dire che quando abbiamo parlato di “braccianti dell’informazione”, o di “rider delle notizie” avevamo sintetizzato lessicalmente il quadro che emerge nelle prossime pagine. Lavoro povero, poche regole, zero diritti: giornalisti molto precari e poco autonomi. Freelance che non possono contrattare i compensi o ricevere i rimborsi per le spese sostenute. Collaboratori spremuti come limoni in cerca di dignità, pezzo dopo pezzo.
Mettere al centro il lavoro e la qualità dei prodotti è probabilmente una strada obbligata per rilanciare un comparto, quello editoriale, in crisi di identità, vendite e forse anche di autorevolezza. Pesa una “rivoluzione industriale-digitale” ancora in corso e mai metabolizzata nel verso giusto dall’editoria, e non solo in Italia, iniziata nel 2008 con l’arrivo di smartphone e socialnetwork.
Oggi, con l’informazione professionale in crisi, siamo esposti a influenze esterne sulle piattaforme, polarizzazione estrema del dibattito, raccolta dati selvaggia e algoritmi che giocano con le nostre democrazie durante le tornate elettorali. In questo contesto, l’informazione e la stampa largamente intesa sono un asset strategici per la sicurezza nazionale e “pietra miliare” della qualità della democrazia.
I Governi che si sono succeduti in questi anni si sono dimostrati inconsistenti o peggio ancora ignavi rispetto allo scempio del diritto del lavoro che si è fatto nel mondo dell’informazione dalla prospettiva del lavoro autonomo, tre su quattro giornalisti attivi. Riorganizzazioni aziendali che fanno della sola riduzione del costo del lavoro l’obiettivo, senza una vera idea di rilancio, hanno prodotto un mercato asfittico che offre contenuti prodotti da giornalisti “poveri”: piccolo ingranaggio del sistema della libertà di stampa che secondo il Consiglio Europeo sta diventando un inciampo nella qualità della democrazia del nostro Paese.
Al di là dei dati statistici, il messaggio che le colleghe e i colleghi mandano a CdR, Fiduciari, Assostampa e Fnsi è chiaro: “siamo qui, abbiamo bisogno di tutele e rappresentanza e abbiamo paura di perdere quel poco che stiamo costruendo, pezzo dopo pezzo, contenuto dopo contenuto”. Se non ora, quando?
Mattia Motta
segretario generale aggiunto FNSI - presidente Commissione Lavoro Autonomo Nazionale
Leggi i risultati del questionario Clan-Fnsi sulla situazione dei giornalisti non dipendenti