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Abusivi e precari in redazione, la Procura dà ragione ad Assostampa Sicilia, il direttore che li impiega va condannato. Sentenza impugnata


Tribunale Palermo

Provvedimento storico della Procura Generale di Palermo, che accogliendo la segnalazione del sindacato dei giornalisti interviene impugnando l’archiviazione del procedimento disciplinare per una grave situazione pluriennale di sfruttamento di abusivi e precari in redazione.

Il Sostituto procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo, Maria Teresa Maligno, ha ritenuto che le argomentazioni con le quali il Cdt ha archiviato il procedimento disciplinare non sono condivisibili e che vadano invece applicate le norme secondo cui “gli iscritti all’Ordine che rivestano a qualunque titolo ruoli di coordinamento del lavoro sono tenuti a non impiegare quei colleghi le cui condizioni lavorative appaiono inadeguate e a vigilare affinché non si verifichino situazioni di incompatibilità”.

Il Consiglio di disciplina territoriale dell’Ordine dei giornalisti ha notificato lo scorso 13 dicembre in Procura l’archiviazione del procedimento che aveva incolpato l’ex condirettore responsabile del Giornale di Sicilia, Giovanni Pepi, di una serie di violazioni deontologiche perpetrate per anni. A Pepi era stato contestato di aver commesso condotte non conformi che hanno consentito l’impiego di collaboratori esterni del quotidiano retribuiti con compensi irrisori e la violazione dell’incompatibilità tra l’attività presso una testata giornalistica e l’incarico in un ufficio stampa di una pubblica amministrazione. Il Cdt ha deliberato che i fatti accaduti non costituiscono illecito disciplinare.

Assostampa Sicilia ha prontamente segnalato la gravità del caso in Procura, consegnando una memoria con cui si è chiesta l’impugnazione della sentenza del Cdt, rappresentando la rilevanza del procedimento nonché l’opportunità e l’urgenza dell’intervento. Nella memoria presentata alla Procura, l'Assostampa ha evidenziato “che gli emolumenti irrisori e iniqui corrisposti sono solo un’aggravante della violazione della legge 69/63, in relazione agli articoli 348 CP (esercizio abusivo della professione) e 498 CP (usurpazione di titoli), nonché della Carta di Firenze, per avere consentito ovvero sollecitato, direttamente o indirettamente, a soggetti privi di titolo, poiché non ancora iscritti all’Ordine dei giornalisti, di pubblicare articoli in numero ritenuto eccessivo e tale comunque da travalicare i limiti di cui all’art. 1 legge 69/63, dell’attività giornalistica non occasionale e retribuita”.
Per altro verso, poiché per l’enorme carico di lavoro assegnato ai lavoratori "essi avrebbero dovuto essere assunti come praticanti, e come tali essere iscritti all’Albo dei giornalisti, è del tutto evidente che il compenso erogato è del tutto incongruente ed irrisorio".

Impugnando la delibera di archiviazione da parte del Consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti, la Procura Generale ha affermato che “anche in assenza di una specifica disciplina di settore indicativa dell’equo compenso spettante al giornalista, alla luce dei principi dettati dalla Carta Costituzionale (art. 36), non si può in alcun modo ritenere equo un compenso irrisorio (da 1 a 4 euro ad articolo) in quanto lesivo della dignità e del decoro del lavoratore” e “che la situazione di crisi dell’editoria siciliana negli ultimi anni non può certamente giustificare un comportamento contrario ai principi costituzionali”.

Il provvedimento di impugnazione che ha accolto le istanze di Assostampa Sicilia rappresenta un precedente storico per le situazioni di sfruttamento, abusivismo, precariato e incompatibilità nelle redazioni giornalistiche, stigmatizzate dalla “Carta di Firenze”. A differenza da quanto accade per le altre professioni ordinistiche su situazioni analoghe, finora gli organi disciplinari dell’Ordine dei giornalisti non hanno mai adottato con decisione una prassi sanzionatoria contro il comportamento dei direttori o coordinatori che impiegano in redazione abusivi e precari pagati con compensi irrisori.

La Procura ha ritenuto che vada applicato il dettato di cui all’art. 2 della Carta di Firenze e all’art. 6 del CNL Giornalistico, secondo cui il direttore responsabile di una testata giornalista ha il compito di “vigilare” non solo quello di “promuovere” il rispetto dei principi affinché sia garantita a tutti i giornalisti, siano essi lavoratori dipendenti o autonomi, un’equa retribuzione, venga posto un freno allo sfruttamento e alla precarietà, vengano correttamente applicate le norme contrattuali sui trattamenti economici.
È stato ritenuto inoltre dalla Procura “che in considerazione di tale preciso dovere di garanzia in capo a chi riveste ruoli di coordinamento del lavoro giornalistico, la ipotizzata mancata conoscenza da parte di Giovanni Pepi, all’epoca dei fatti condirettore responsabile del Giornale di Sicilia, degli specifici accordi economici esistenti tra l’editore e i collaboratori e delle situazioni di incompatibilità esistenti non può, anche qualora fosse reale, indurre a ritenere esente quest’ultimo da responsabilità in relazione ai capi dell’atto di incolpazione”.

Scrive quindi il Sostituto Procuratore di aver ritenuto che il direttore responsabile Pepi “nella sua qualità di organo posto al vertice della testata giornalistica sulla scorta dei principi desumibili dal combinato disposto degli artt. 2 della Carta di Firenze e 6 del CNL Giornalisti, avrebbe dovuto correttamente vigilare sulla congruità degli emolumenti corrisposti ai collaboratori esterni nonché sulla corretta applicazione dei principi dettati dalla L. 69/63, dal CNL Giornalistico e dal Testo Unico deontologico in materia di collaborazione esterna e, infine, sulle situazioni di incompatibilità esistenti in capo ai giornalisti”.
Per questi motivi la Procura Generale ha impugnato la delibera 1512/2019 del Cdt e in riforma della stessa ha chiesto “al Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, di ritenere la sussistenza dell’illecito disciplinare ed irrogare a Giovanni Pepi per le violazioni contestate nell’atto di incolpazione, le sanzioni disciplinari adeguate al caso in esame”.



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