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Lo strano mestiere della spia, ancor più mediocre. Al Circolo della stampa il racconto di Marcello Benfante

Lo strano mestiere della spia, ancor più mediocre. Al Circolo della stampa il racconto di Marcello Benfante

Si è chiuso con Marcello Benfante, scrittore e critico letterario palermitano il ciclo degli appuntamenti di maggio al Circolo della stampa. Al centro dell’incontro il suo racconto “Carte segretissime di una spia mediocre”. Una discussione animata soprattutto dal pubblico che ha sollecitato lo scrittore che era in compagnia di Roberto Leone, vicesegretario regionale di Assostampa e Claudia Mirto, presidente del gruppo giornalisti pensionati. L'incontro è stato organizzato in collaborazione con la sezione siciliana dell’Associazione donne del vino. I calici, distribuiti durante la conversazione, hanno alimentato la discussione, rendendo il benfante.circolo1clima conviviale e il confronto più interessante nel salone “Orlando Scarlata” dell’Associazione siciliana della stampa in via Francesco Crispi 286. Molti gli interventi in particolare della giornalista Egle Palazzolo e di Matteo Di Gesù, docente universitario e scrittore che si sono inseriti nel dibattito.

"Le difficoltà di fare la spia che è un lavoro terribile, estenuante, che non ammette tregue. Un supplizio senza requie e senza quartiere. Se sei una spia, non importa a che livello, perfino l’infima delle spie come me, devi sempre nasconderti, devi sempre apparire diverso da quello che sei, spacciarti per un altro, per tutt’altro". Partendo da queste prime righe di “Carte segretissime di una spia mediocre”, la discussione si è dipanata su vari livelli.  Non si sa da che cosa fugga o da chi, questa piccola spia che ha l’imprudenza (o l’impudenza) di scrivere un diario, ancorché anonimo e fuori dal tempo, che tra le righe di una reticente confessione racconta avventure inverosimili. Forse fugge da se stesso, dai suoi incubi, dalle sue ossessioni. Come una specie di Giona del vicinato che occulta nei suoi abissi una colpa inconfessabile. E forse si tratta soltanto di una spia immaginaria, in preda a un delirio, a una specie di fantasmagoria. Non meno insondabile è infatti il suo compito, il suo oscuro e mediocre lavoro, fatto di banali e minime mansioni. Né per conto di chi lo svolga e a quali fini. Non è mai chiaro in cosa consistano le sue missioni segrete, chi siano i misteriosi personaggi che sorveglia e che pedina ( oche a loro volta sembrano pedinarlo). «Tutta la mia vita è una fuga. Lo è stata, lo sarà, fino alla morte. Un sottrarsi alla verità, un mentire a tutti, perfino a me stesso». Se provassimo a immaginarlo, potremmo forse porlo al centro di un grande stadio vuoto. Come si dice, al calar della sera, ma come se gli spalti, potessero all’improvviso riempirsi di una gran folla, capace di braccarlo, come se le voci potessero di colpo sopraffarlo, annientarlo, come se le sue segretissime carte sparpagliate intorno, non potessero essere più raccolte. Né da altri né da lui, povera spia. Perché questa è la non confessabile professione del nostro protagonista: lui è una spia, vive di un lavoro nascosto che gli pare avere addosso da sempre e di svolgere in misura assai mediocre. Se dovesse definirsi prenderebbe a prestito da Musil, quello, di un uomo senza qualità. Che a un tratto confessa o si confessa, chi decide di rendere a un tratto, palesi i segni della sua grande solitudine e del suo quatto accostamento alla vita degli altri. Altri che cerca di scoprire chi sono, che fanno e perché, ma senza che di lui si sappia o si debba sapere nulla. O non sarebbe più una spia. Deve scoprire ma non scoprirsi. Un racconto pesante, un destino drammatico? Non può negarsi ma Marcello Benfante sin al principio del racconto decide che sorriso e ironia facciano scudo all’amarezza di fondo. Che ogni allegoria, riferimento non strappi lagrime. Magari una certa aria di mistero prevalga. De resto parliamo di una spia. Di una spia che ha paura, aura di sé e paura della vita. Che conosce e non riconosce E viceversa. Ma che non vuole perdere. Almeno senza averlo fatto.

Marcello Benfante, scrittore e critico letterario, è collaboratore di “ Repubblica”, ed autore dei romanzi “ Cinopolis” ( Mobydick, 2006), “L’ultima fuga del professor Severini” ( Di Girolamo, 2006), “L’uomo che guardava le donne” (Avagliano, 2009) “Il sentimento del male” (Gaffi, 2014).

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