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Chiude l’edizione orientale del Giornale di Sicilia. Serve una strategia contro la crisi del sistema dell’informazione

Chiude l’edizione orientale del Giornale di Sicilia. Serve una strategia contro la crisi del sistema dell’informazione

C’è qualcosa di stonato nella recente chiusura dell’edizione “orientale” del Giornale di Sicilia. C’è qualcosa di non detto da parte degli editori, mentre sullo sfondo si intravede una strategia che potrebbe far compiere un pericoloso salto indietro al sistema dell’informazione in Sicilia in termini qualitativi e quantitativi.

Penso che su tutta questa vicenda, capitata non a caso in piena estate, l’Associazione siciliana della stampa, sindacato unitario dei giornalisti, debba compiere una profonda riflessione perché essa è meno circoscritta di quanto appaia.

Riguarda le prospettive di lavoro dei giornalisti siciliani e, allargando la prospettiva, i livelli di democrazia, di trasparenza e di conoscenza nella nostra regione; livelli che solo un sistema dell’informazione solido, dinamico e diversificato può assicurare.

Per giustificare la chiusura dell’edizione “Sicilia orientale”, gli editori ci avevano spiegato che i costi erano troppo alti e non venivano compensati dalle copie vendute. Motivazione valida, ma insufficiente poiché, com’è a tutti noto, nessuna testata giornalistica si sostiene soltanto con le vendite. Le stonature sono iniziate quando, col passare dei giorni, si è compreso che, diversamente da quanto annunciato, non sarebbero state sei le province interessate dai colpi di scure, ma cinque, per poi diventare quattro: Siracusa, Ragusa, Catania e Messina. Sarebbero state “salvate” Caltanissetta ed Enna, anche se integrate nell’edizione di Agrigento.

L’orchestra Morgante-Ardizzone diciamo che ha steccato in pieno l’esecuzione di uno spartito - già mal scritto – il 6 agosto (primo giorno senza edizione “Sicilia orientale”), a pagina 12, quando ha ritenuto di giustificare le ragioni della scelta e del cambiamento in corso d’opera. In un articolo di taglio basso ci è stato detto, già nell’attacco, che Caltanissetta ed Enna erano state salvate dai tagli perché sono “province fulcro e crocevia strutturale e per questo anche economico e produttivo dell’Isola”. Lo dico subito: la conferma delle pagine di Caltanissetta ed Enna è una notizia molto, molto positiva, ma la motivazione dell’azienda è stata la classica pezza peggiore del buco.

Gli editori del Giornale di Sicilia quanto conoscono la Sicilia orientale e le potenzialità?

Mi chiedo quale sia il livello di conoscenza che i nostri principali editori hanno della Sicilia, e sì che sono a capo di aziende che producono informazione. Mi chiedo da quanto tempo non mettano piede nel Sud-Est tra Catania (la seconda provincia della Sicilia), Siracusa (la quarta) e Ragusa (tralascio Messina solo perché è già sede di un quotidiano dello stesso gruppo). Sanno che in quest’area c'è uno dei poli petrolchimici più grandi d’Europa e che ci sono due aeroporti e uno dei porti commerciali (quello di Augusta) più grandi del Paese? Hanno un’idea del volume d’affari del mercato ortofrutticolo di Vittoria (il terzo in Italia) e che a Portopalo di Capo Passero c’è la seconda flotta peschereccia siciliana dopo quella di Mazara del Vallo? Conoscono quanti siti Unesco ci sono in queste tre province? Conoscono la loro agricoltura, la loro zootecnica e la loro enogastronomia di qualità? Hanno mai sentito parlare dei luoghi del commissario Montalbano? Sanno cosa comporti tutto questo in termini di flussi turistici? Si ricordano che Siracusa (come Agrigento) dispone di un patrimonio archeologico invidiato nel mondo e che Catania e Ragusa sono storicamente le aree economiche più dinamiche dell'Isola?

Caltanissetta ed Enna meritano l’attenzione del Giornale di Sicilia, ma se la motivazione è quella delle potenzialità economiche allora nella scelta degli editori c’è quantomeno un difetto di analisi.

Consolidare il vecchio schema della ripartizione in aree d’influenza e azzerare la concorrenza

Lecito, dunque, chiedersi quale sia la vera ragione dei tagli: il mio sospetto è che si voglia nuovamente consolidare il vecchio schema della pacifica ripartizione in aree di influenza dei tre quotidiani, azzerando la concorrenza con l’effetto di omologare l'informazione verso livelli più bassi. Conosco, per averla vissuta personalmente e per averla seguita anche dopo, la vicenda di dei Giornale di Sicilia a Siracusa. Aprimmo la redazione nel '90 (inaugurando la cronaca locale) che si vendevano a malapena 80 copie. Da allora, nel giro di qualche anno, ci stabilizzammo ben oltre le duemila, con punte di tremila al giorno. Eravamo un gruppo di giovani cronisti che seppero affrontare una sfida non facile con impegno e passione, a fronte di investimenti col contagocce da parte dell’azienda. Le nostre richieste per potenziare la presenza in provincia restavano quasi sempre inascoltate; era difficile persino organizzare meglio la distribuzione del giornale quando gli edicolanti chiamavano in redazione per lamentarsi del fatto che le copie andavano esaurite a metà mattinata. La nostra era una presenza forte, ma era come se il conducente della macchina volesse procedere con le marce basse. Per non parlare poi della raccolta pubblicitaria, che subì un duro colpo quando i tre principali quotidiani siciliani decisero di affidarsi allo stesso concessionario. Il salto all’indietro era stato compiuto, la fase della concorrenza era terminata e si poteva tornare a convivere pacificamente, com’era accaduto fino agli anni '80, contando ciascun quotidiano sul proprio potenziale bacino di lettori. Solo che gli editori non avevano ancora compreso cosa stava per accadere con la diffusione della Rete e dell’informazione on-line.

Sotterrata l’ascia di guerra, i tre quotidiani hanno progressivamente ridotto la loro presenza nell’Isola. Prima sono spariti gli uffici dei concessionari pubblicitari, che negli anni d’oro erano uno per ogni giornale; poi sono state tagliate le pagine dedicate a ciascuna provincia; quindi è toccato alle redazioni. La Gazzetta del Sud, poco alla volta, ha chiuso le sedi di Catania, Ragusa e Siracusa; La Sicilia ha abbandonato Trapani e Palermo; il Giornale di Sicilia ha fatto sparire sei edizioni - le quattro della Sicilia orientale più Caltanissetta ed Enna - raggruppandole in una sola edizione di appena 12 pagine (poco più di quante ne produceva ancora pochi anni fa la sola Siracusa), fino ad arrivare alla decisione dei giorni scorsi. Ha avuto senso tutto questo? Se i lettori complessivi diminuivano, ha avuto senso abbandonare fette di territorio con il solo sbocco di vendere ancora meno copie e ridurre le entrate pubblicitarie? Visti i risultati, non si direbbe. Alla fine di questi trent’anni, possiamo dire che quella delle edizioni locali è stata una occasione persa per tutti, una opportunità che avremmo dovuto difendere con maggior convinzione dai tagli decisi dalle aziende.

Due anni fa salutammo con qualche speranza l’acquisizione del Giornale di Sicilia da parte dell’editore della Gazzetta del Sud. “Finalmente qualcosa si muove, forse si va verso la nascita un forte gruppo meridionale capace di essere all'altezza di altri gruppi italiani”, pensammo. Ma dopo tutto questo tempo, e tanti passi indietro, non comprendiamo ancora quale disegno si volesse perseguire con quella operazione, mentre l’arrivo sul mercato di un agguerrito “Quotidiano del Sud”, sotto la spinta di un giornalista esperto come Roberto Napoletano, dimostra che qui si può ancora investire.

Crisi economica e informazione web hanno mandato in tilt l’editoria tradizionale

La crisi economica e l’informazione on-line hanno certamente “terremotato” il settore dell’editoria, ma ciò che rimane nei quotidiani in Sicilia, dopo anni di stati di crisi e di tagli imposti promettendo investimenti mai realizzati, è la mancanza di visione degli editori. Siamo rimasti inascoltati quando denunciavamo l’inadeguatezza delle soluzione prospettate; vedevamo i giornali di carta arretrare verso ambiti sempre più angusti non avendo mai provato davvero ad affrontare le novità del mercato, la sfida della tecnologia, del web e dei nuovi media. Termini come multimedialità, crossmedialità e transmedialità forse non sono mai davvero entrati nelle redazioni siciliane ma altrove, in Italia e all’estero, sono stati sviluppati ed oggi le aziende raccolgono i frutti. Nel nostro mondo è in corso una trasformazione di vasta portata che riguarda gli editori ed anche i giornalisti e il modo di intendere e vivere la professione, solo che in Sicilia tutto questo è appena accennato mentre si fanno i conti con nuovi tagli destinati a produrre nulla di positivo.

Le conseguenze di questa situazione non sono ancora chiare, come tutto da scoprire è l’assetto proprietario definitivo dei tre quotidiani. Ho il sospetto che quanto accaduto in questi giorni al Giornale di Sicilia, di per sé drammatico, sia solo un passaggio verso scenari futuri ancora peggiori e dannosi per il pluralismo delle opinioni in Sicilia e, dunque, per le dinamiche democratiche oltre che per il mercato del lavoro giornalistico in generale.

La proprietà ha sottolineato che la chiusura dell’edizione non ha comportato perdite di posti di lavoro, ma si riferiva – è bene ricordarlo – ai giornalisti “articoli 1”. E i collaboratori? Non sono forse lavoratori anche loro, per di più pagati pochi euro a pezzo? Possibile che venga dato il benservito a giornalisti che da anni dedicano le loro giornate al quotidiano palermitano rimettendoci, in qualche caso, di persona? E poi, siamo così sicuri che i licenziamenti presto non riguarderanno anche i dipendenti “articoli 1”?

Se, come si dice da più parti, la prospettiva è di fare del Giornale di Sicilia e della Gazzetta del Sud due quotidiani fotocopia con la sola eccezione delle cronache locali, cosa accadrà ai redattori delle cronache nazionali e regionali? Ci sarà una cura draconiana come quella utilizzata per i poligrafici palermitani?          

Non possiamo stare a guardare e non staremo a guardare

Davanti a tutto questo l’Assostampa Siciliana non può restare a guardare – e non resterà a guardare - e deve essere protagonista di una iniziativa che possa ridare una prospettiva ai giornalisti e rilanciare l’informazione. I nostri interlocutori sono senza dubbio gli editori, ma anche la politica. Il segretario regionale, anche a nome dei segretari provinciali delle aree interessate regionali e del presidente, bene ha fatto a chiedere una audizione urgente alla commissione lavoro dell’Ars. Quindi attendiamo la ripresa dei lavori per farci ascoltare. Molte regioni italiane in questi anni si sono dotate di leggi a sostegno del settore, in Sicilia il tentativo compiuto negli anni scorsi all’Ars è naufragato in un mare di piccoli appetiti che misero in secondo piano la visione generale.

È sfuggita finora la percezione dell’entità dell’emergenza, che riguarda il futuro stesso della nostra regione e della sua crescita civile ed economica. Nell’epoca delle disintermediazione i politici sono portati a pensare che il successo si misuri con i “like” raccolti sui social e con i selfie, ma si tratta di una visione miope ed autoreferenziale, che crea un consenso effimero come dimostra la storia recente di alcuni leader nazionali. È un successo che non lascia traccia, che non si stratifica nella percezione dei cittadini; è un cortocircuito in cui tweet e post (talvolta privi di senso) e titoli giornalistici si inseguono a un ritmo forsennato; un cortocircuito che impedisce qualsiasi approfondimento e dibattito nell'opinione pubblica e che va interrotto al più presto. C’è solo un modo per farlo: ridare forza, centralità e autorevolezza al mondo dell'informazione. Questa è la sfida da affrontare e in cui tutti dobbiamo sentirci coinvolti.

Francesco Di Parenti
componente Giunta esecutiva
Assostampa Sicilia

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