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Mauro Rostagno 33 anni dopo, il coraggio della verità


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Trentatré anni fa veniva ucciso a Trapani da mani mafiose Mauro Rostagno. Tra le iniziative per ricordarlo il Comune di Trapani ha organizzato nel giorno dell'attentato una cerimonia di commemorazione con deposizione di una corona di alloro ai piedi della targa che ricorda Rostagno in uno dei luoghi che furono al centro della sua attenzione giornalistica in quegli anni '80 durante i quali fu di fatto il direttore della tv privata Rtc. Le manifestazioni, organizzate in collaborazione con l’associazione “Ciao Mauro”, Libera e Articolo 21 prevedono anche un momento di raccoglimento davanti alla “Stele per Mauro” sul luogo dell’omicidio, in contrada Lenzi, insieme alle Istituzioni; un incontro insieme agli artisti, accanto al luogo dove si trovano i suoi resti, all’interno del cimitero di Valderice.


«Ricordare Rostagno - dice il presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia, Giulio Francese - significa ricordare un uomo che, nelle sue tante vite, ha fatto sempre scelte coraggiose, dando tutto se stesso. Ha scelto di essere siciliano e di lottare per una Sicilia migliore, ha scelto di essere giornalista dimostrando che si può fare grande giornalismo anche da una piccola tv locale: questione di testa ma anche di cuore. È questa la lezione che ci lascia, è quella “purezza” dell’uomo vestito di bianco che noi ricordiamo, la forza delle sue parole, della sua ironia, la determinazione con cui raccontava il vero volto della mafia ai siciliani per fargli aprire gli occhi. Potevano zittirlo solo in un modo, col piombo. Ma noi non dimentichiamo. E prendendo in prestito le parole del pm nel processo di primo grado, diciamo che di “Mauro resta lo splendore della sua figura umana e intellettuale”. E resta attuale la sua lezione di giornalismo che sarebbe importante riuscire a recuperare». Alla fine dello scorso anno, con la sentenza della Cassazione, si è concluso definitivamente il processo per il suo omicidio. «Il ricordo senza l’azione - scrive il collega Rino Giacalone per Articolo 21 - è cosa inutile. Oggi non dobbiamo solo ricordare Rostagno, ma chiederci cosa ognuno di noi, giornalisti, abbiamo fatto nei rispettivi anni di lavoro, per mantenere vivo il giornalismo d’inchiesta che a Rostagno piaceva tanto, perché era l’unico modo per attirare attenzione. Cosa facciamo ancora ogni giorno?». 


Giacalone ricorda che Rostagno era arrivato a Trapani per occuparsi di una comunità di recupero di tossicodipendenti, la Saman. Laureato in Sociologia, era diventato un bravo terapeuta di quei ragazzi (alcuni li portò a lavorare a Rtc, tra le diffidenze di tanti, gli stessi che oggi esaltano quell’esperienza), e Maddalena Rostagno dinanzi ai giudici ricordò come suo padre Mauro dagli schermi televisivi aveva deciso di fare il “terapeuta” della città di Trapani. Presto si era accorto che la città era drogata, trapanesi convinti di vivere nel benessere, intendendo per benessere la possibilità di avere facili assunzioni per i loro figli o anche ricevere a casa, un semplice certificato, o ancora una pensione per tirare a campare. «Risalendo la scala - continua Giacalone - c’erano le imprese e gli imprenditori che si sceglievano gli appalti da fare senza attendere tanto l’esito delle gare, o le imprese che ristrutturavano vecchi palazzi e li rivendevano agli anti pubblici senza tante difficoltà.
C’era la Trapani bene che frequentava salotti senza badare alla “puzza” di certi mafiosi che frequentavano le stesse stanze. E poi la massoneria che si presentava come centri culturali, dove le frequentazioni erano pure importanti, per le presenze anche di giudici e magistrati, gli stessi che magari dovevano processare certi personaggi, che puntualmente uscivano assolti…quando i processi si riuscivano a celebrare. Rostagno raccontava che quello non era benessere, ma assoggettamento, schiavitù». Alla fine Rostagno è stato ucciso per aver messo insieme i cocci di una conoscenza sulla mafia trapanese, sulla sua intimità con apparati del potere economico e politico.


La verità a 33 anni dall’uccisione di Mauro Rostagno, aggiunge con amarezza Giacalone, «è quella che il modo di concepire e soprattutto di praticare il giornalismo e l’informazione, proprio di Rostagno, come terreno di elezione di una ritrovata passione per l’impegno civile, profuso anzitutto nel contrasto al fenomeno mafioso, oggi è cosa rara, ma non impossibile da rilanciare. Ci vuole coraggio, ci vuole passione. Bisogna tornare ad usare la voce, e lo scritto, per ridiventare tarli contro le trame collusive delle cosche mafiose, che sono convinte di essere invincibili, fenomeni non umani, così da smentire Falcone che diceva che la mafia come tutti i fenomeni umani un giorno dovrà pur morire»

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