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Presunzione di innocenza, Lorusso in Fondazione Einaudi: «La legge non diventi un bavaglio alla stampa»
«Si sta andando oltre lo scopo della normativa europea», rileva il segretario generale della Fnsi, a confronto con il procuratore generale presso la Corte di Cassazione Giovanni Salvi e il sottosegretario alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto. «Un conto - incalza - è la tutela del principio di non colpevolezza, altro è mettere a rischio il diritto dei cittadini a essere informati».
«La direttiva europea sulla presunzione di innocenza non disciplina da nessuna parte il rapporto tra pm e organi di informazione: solo in Italia si è colto il pretesto per imporre norme di comportamento ai magistrati che stanno diventando un bavaglio per la stampa». A porre l'accento sulle criticità della cosiddetta "riforma Cartabia" è Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi, intervenendo all'evento "Presunzione di innocenza e diritto all'informazione: un conflitto insanabile?", organizzato a Roma dalla Fondazione Luigi Einaudi.
«Si sta andando oltre lo scopo della normativa europea – rileva Lorusso –. La presunzione di innocenza è uno dei cardini della civiltà giuridica e i processi mediatici sono da condannare, ma un conto è la tutela del principio di non colpevolezza, un altro è il bavaglio alla stampa, che mette a rischio il diritto all'informazione per i cittadini».
Per il segretario generale della Fnsi, «esistono applicazioni assurde delle nuove norme, in alcuni casi c'è addirittura il divieto di fare conoscere le notizie di cronaca nera: cosa c'entra l'incidente stradale o l'omicidio con la presunzione di innocenza? Stiamo assistendo a queste assurdità. Tra l'altro – conclude – esistono già due articoli del codice di procedura penale, l'articolo 114 e l'articolo 329, a disciplinare la segretezza degli atti, per cui non c'è bisogno di imporre altre direttive. È inoltre singolare che il parlamento italiano si sia preoccupato di introdurre un bavaglio alla stampa, ma non si sia preoccupato di trovare il tempo di parlare delle querele temerarie contro i giornalisti».
Introdotti dal presidente della Fondazione Einaudi, Giuseppe Benedetto e moderati da Paolo Ezechia Reale, segretario generale del Siracusa International Institute, all'incontro partecipano anche Giovanni Salvi, procuratore generale presso la Corte di Cassazione e Francesco Paolo Sisto, sottosegretario alla Giustizia.
«Il ricevimento della direttiva dell'Unione Europea da parte dell'Italia è un passo in avanti nella civiltà del diritto, quella che ci impone di non definire il colpevole o l'innocente nella conferenza stampa del procuratore prima che inizi anche la fase preliminare del processo», osserva l'avvocato Benedetto.
«È necessario riattivare i principi costituzionali non solo scritti, ma anche applicarli: il 'processo mediatico' è senza processo e senza appello. Nessuno può cancellare l'articolo 21 della Costituzione, ma allo stesso modo nessuno può cancellare gli articoli 24, 25, 27 e 111 con i sacri principi che essi contengono», la posizione del sottosegretario Sisto.
«Con la legge sulla presunzione di innocenza, il governo e il Parlamento hanno lavorato in sinergia per dare piena attuazione ad un principio costituzionale, evitando peraltro un'infrazione europea. Francamente - prosegue Sisto - le critiche alla legge sono poco comprensibili: non si introduce alcun bavaglio né alla stampa, né ai Pm. La tutela di un principio costituzionale dovrebbe vedere tutti concordi: giornalisti, Pubblici ministeri, magistrati, politica, opinione pubblica. La domanda non può essere come scardinare questa legge ma come applicarla in modo condiviso».
Per il procuratore Salvi, «già tanto è stato fatto: non siamo all'anno zero della comunicazione dei magistrati con la stampa e non c'è più la comunicazione degli anni '90. Penso inoltre che non si debba scegliere la strada della sanzione. Il diritto all'informazione – aggiunge – è importante, perché l'opinione pubblica ha diritto di essere informata. È difficile, ma non impossibile fare andare insieme il diritto alla tutela della dignità degli indagati, delle vittime e dei testimoni nei processo e la libertà di informazione».