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Presunzione d’innocenza, toghe e informazione: ora più sobrietà e rigoroso rispetto delle regole deontologiche


 Ninni Reina

È in vigore dal 14 dicembre 2021 il decreto legislativo 188 del 2021 che, recependo una direttiva della Ue, introduce alcune disposizioni tese al rafforzamento della “presunzione d’innocenza”.

Il fulcro del decreto consiste nella disciplina relativa alla diffusione delle informazioni riguardanti i procedimenti penali e gli atti di indagine.
In tal senso, l’art. 2 dispone che “è fatto divieto alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta ad indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili”.

Mi chiedo: il problema della divulgazione di notizie giudiziarie è un problema normativo? È collocabile e dunque risolvibile esclusivamente in un universo di discorso giuridico? È davvero possibile pensare che una attenta, meticolosa e calibrata disciplina legislativa risolva il problema sulla odierna divulgazione giudiziaria?
In democrazia “l’interesse pubblico” impone il dovere di comunicare e di rendere conto da parte del sistema di giustizia e, dall’altro, il diritto di informazione, di cronaca e di critica salva la tutela delle esigenze di segretezza dell’indagine.

L’indebito protagonismo di magistrati e la cattiva informazione si contrastano con la buona e corretta informazione e non certo con la pretesa di ingessare le modalità di comunicazione.
Le patologie non si risolvono mai aumentando le dosi di medicina piuttosto che individuare il rimedio adeguato. Qualunque normativa si adotti, rimane essenziale l’assunzione di responsabilità e la deontologia degli operatori di giustizia e dell’informazione.
La tenuta dell’intero sistema dipende sempre dalla serietà con cui si agisce nell’ambito delle rispettive funzioni e dal rigore deontologico di tutti gli attori coinvolti, giacché nessuna riforma normativa ha effetto senza il cemento sociale che la sostenga.

Mi piace richiamare l’intervento dell’ex procuratore Armando Spataro alla Scuola superiore della magistratura, che ha anticipato l’intervento normativo del quale si discetta: “Il magistrato sia protagonista virtuoso di corretta comunicazione e di ogni utile interlocuzione nel dibattito sui temi della giustizia. Ma sia capace di esserlo con misura. La stampa, se vuole fare un buon lavoro, deve evitare il processo mediatico, i titoloni ad effetto, verificando i fatti e accedendo alle notizie senza tentare di creare, magari violando i doveri di deontologia, dei canali privilegiati”

Aggiungo: non è necessario divenire la voce della Procura, così come divenire il megafono della difesa. Bisogna mantenere quale fede incrollabile l’obiettivo di raccontare il tutto e non solo un frammento dell’accaduto.
Un ritorno, permettetemi, alle incontaminate origini: 1972 Samuel Buckley - Daily Courant Credibility and fairness, affidabilità e certezza delle notizie, senza essere faziosi. “Sugli avvocati prevalga il dovere di sobrietà, riservatezza e resistenza alle tentazioni mediatiche con pregiudizio per il proprio assistito”.
Solo così si renderà un vero servizio alla giustizia, alla difesa anche delle vittime del reato e alla democraticamente ineliminabile informazione.

A tutti, magistrati, giornalisti, avvocati è richiesto di cercare il punto di equilibrio più alto e pensare che ad essere in gioco ci sono valori altissimi di tenuta della democrazia oltre che della legalità del sistema.
La dignità della persona, la terzietà del giudice, il diritto dei cittadini all’informazione.

Ninni Reina, avvocato

 

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